La teca del Santo e la devozione

In passato il corpo di san Gerardo, conservato nella preziosa cassa in legno e argento guarnita di cristalli posta sopra l’altare della cappella a lui dedicata, era nascosto alla vista se non in occasione della sua festa.

Era uso che, in presenza di un fatto grave, tipicamente l’agonia di un familiare, i parrocchiani chiedessero al parroco di liberare l’urna dal rivestimento ligneo che la copriva, così da permettere all’ effluvio virtuoso che emana dal corpo santo di fuoriuscire dalla bara e di convogliarsi verso il fedele bisognoso di aiuto.  Pare che, per i nostri nonni gerardiani, la frase  “và a fà dervì la cassa” fosse parte imprescindibile del bagaglio religioso-culturale individuale. Gli altri parrocchiani, entrando in chiesa e vedendo la cassa aperta, si sarebbero informati fra di loro su chi fosse in condizioni critiche e lo avrebbero aiutato, pregando per la sua causa.

L’usanza si mantenne fino agli anni settanta con il parroco don Florindo Spinelli. Il suo successore, il compianto e da poco scomparso don Renato Banfi, dopo il 1973 tolse definitivamente i rivestimenti lignei nella convinzione che l’effluvio di grazia, emanato dal corpo santo, dovesse essere un dono permanente offerto da Gerardo anche a tutti i suoi visitatori ed introdusse, come segnalazione comunitaria di parrocchiani sofferenti, l’accensione di una lampada votiva laterale.

L’attuale parroco don Massimo Gaio, attento e rispettoso delle tradizioni della Parrocchia,  trovando casualmente i preziosi rivestimenti originali dell’urna, ha pensato di ripristinare l’antica tradizione gerardiana.

Era inoltre un gesto sentito dai fedeli quello di scrivere le proprie invocazioni di preghiera su un foglio da consegnare al parroco perché fosse deposto sotto l’urna del santo.

Adattamento da testo di Luca Bertazzini

 

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