Lettera aperta alla comunità parrocchiale
“Coraggio” è un termine che il mio maestro, il cardinal Martini, usava molto spesso. Se qualcuno decidesse di discutere una tesi di teologia pastorale e partisse con la ricerca di questa parola nei suoi testi, troverebbe moltissimo materiale. Il coraggio della verità, della passione, dell’umiltà…ne ricordo a bizzeffe di simili espressioni!
Ecco mi rivolgo a voi, cari parrocchiani, esortandovi al coraggio di una verifica. Nell’avvicinarsi del mio decimo anniversario come parroco in mezzo a voi, sento l’urgenza proprio di questo. Una verifica. È così importante per me da dedicare questo tema alla prossima assemblea parrocchiale che si terrà il 18 giugno a cui invito tutti, soprattutto i Consiglieri del Consiglio Pastorale, degli Affari economici, dell’Oratorio. Ma l’incontro vuole essere aperto proprio a tutti: dagli operatori liturgici ai catechisti, dai volontari della carità agli sportivi ecc. ecc. insomma, a tutti coloro che ritengono di appartenere non a parole, ma nei fatti, alla comunità cristiana.
Prendo spunto da quella – per me immemorabile – celebrazione eucaristica del 18 ottobre 2015 quando “presi possesso” della parrocchia. Che brutta espressione! Ormai è decaduta. Fa a pugni con il mio motto sacerdotale che è preso da san Paolo quando dice ai Corinzi: “Non siamo venuti a fare da padroni sulla vostra fede, ma piuttosto siamo i collaboratori della vostra gioia” (2 Cor 1, 24)
E intendo suggerire alcune domande per avviare la verifica. Offro sei punti tutti, ispirati ai riti di ingresso di un nuovo parroco.
- All’inizio di tutto c’è una chiamata. Il Vescovo in persona o un suo delegato dà lettura del Decreto di nomina. Un prete non si sceglie la parrocchia, ma la riceve e la accoglie. Di quel momento ricordo queste parole: «Pastore buono guarda con paterna benevolenza il nuovo parroco che hai scelto per la salvezza di tutti, a cui affidi un’eletta porzione del tuo gregge; fa’ che la comunità parrocchiale di San Gerardo cresca e si edifichi in tempio santo del tuo Spirito e renda viva testimonianza di carità, perché il mondo creda in Te e in colui che hai mandato». Siamo cresciuti e ci siamo edificati a vicenda in tutto questo tempo?
- Uno dei primi gesti di purificazione che viene chiesto al nuovo parroco è quello di aspergere sé stesso e poi di aspergere il popolo. Queste sono le parole che pronunciai quel giorno: «Aspergi il popolo di Dio e venera il santo altare: guida i discepoli di Cristo Maestro e Signore, nel cammino della verità e della vita, dal fonte battesimale alla mensa del sacrificio eucaristico. Interceda per te e per tutti i presenti San Gerardo patrono di questa comunità parrocchiale». Sento la chiamata battesimale e vivo la comunione ecclesiale?
- Samuele e Pietro li ricordo ancora come se fosse ieri. Due bei bimbi (oggi maggiorenni) sul sagrato mi porsero un cabaret con le chiavi del portone e del tabernacolo. Tutte le volte che apro
la chiesa – credetemi – mi ricordo di quel momento simbolico così importante per me. Aprire e chiudere. Sentii proclamare: «Ricevi la chiave del tabernacolo. Hai il dovere di conservare con rispetto il pane eucaristico e di portarlo ai malati, agli anziani e a quanti non possono prendere parte all’Eucaristia; fa’ in modo che l’adorazione eucaristica sia coltivata dai fedeli». Come celebriamo l’Eucaristia? Siamo una comunità aperta? I nuovi arrivati fanno fatica ad entrare e a ringraziare il Signore con noi? - Sull’altare splendevano i tre vasetti con gli oli santi: dei catecumeni, il Crisma e degli infermi. Al momento della consegna, furono questi gli auguri: «Il Signore ti conceda di presiedere e di servire fedelmente questa famiglia parrocchiale, in comunione con il vescovo, annunziando la parola di Dio, celebrando i santi misteri e testimoniando la carità di Cristo». Esiste il valore del servizio umile e spontaneo nella nostra san Gerardo?
- Poi ti fanno entrare e sedere nel confessionale per esprimere il desiderio della riconciliazione. Il parroco è uomo della sintesi, del perdono; deve tenere insieme e non essere per niente divisivo. Recita il Diritto canonico: «…cerchi di conoscere i fedeli affidati alle sue cure; perciò visiti le famiglie, partecipando alle sollecitudini dei fedeli, soprattutto alle loro angosce e ai loro lutti, confortandoli nel Signore e, se hanno mancato in qualche cosa, correggendoli con prudenza; assista con traboccante carità agli ammalati, soprattutto quelli vicini alla morte, nutrendoli con sollecitudine dei sacramenti e raccomandandone l’anima a Dio; con speciale diligenza sia vicino ai poveri e agli ammalati, agli afflitti, a coloro che sono soli, agli esuli e a tutti coloro che attraversano particolare difficoltà; si impegni anche perché gli sposi ed i genitori siano sostenuti nell’adempimento dei loro doveri e favorisca l’incremento della vita cristiana nella famiglia». San Gerardo ha sempre avuto in passato quattro o cinque sacerdoti. Ora sono rimasto solo io. Sento l’impotenza di non arrivare a tutto e a tutti. Come laici, siamo maturati nella assunzione di responsabilità o, al contrario abbiamo ceduto alla deriva del clericalismo accampando la scusa che…tanto il parroco è un gran accentratore e vuole fare e decidere tutto lui?
- Infine, un altro momento toccante della festa per l’ingresso del nuovo parroco è il suono delle campane. Ad un certo punto il parroco viene invitato ad azionare e a far risuonare i rintocchi che sono da sempre simbolo di convocazione e di avviso, di festa e di lutto, di preghiera e di identità di un popolo. A parte il fatto che molti le vorrebbero eliminare, in realtà dietro questo simbolo ci sono valori importanti. Il suono delle campane dà pace interiore. Ricordo quante telefonate ricevetti durante la pandemia; erano richieste di molti che senza le campane si sentivano ancora più soli, smarriti e tristi. Ma quei rintocchi dovrebbero servire anche per darci una mossa e aiutarci a vincere le nostre pigrizie. In cosa abbiamo disatteso le provocazioni e le promesse che abbiamo messo per iscritto nero su bianco sul Progetto Pastorale parrocchiale approvato dal nostro Arcivescovo durante la sua ultima visita pastorale? Dice ancora il Diritto Canonico: «Il parroco riconosca e promuova il ruolo che hanno i fedeli laici nella missione della Chiesa, favorendo le loro associazioni che si propongono finalità religiose. Collabori col proprio Vescovo e col presbiterio della diocesi, impegnandoci anche perché i fedeli si prendano cura di favorire la comunione parrocchiale e perché partecipino e sostengano le opere finalizzate a promuovere la comunione».
Il coraggio della verifica faccia emergere dunque le varie criticità. Ci aiutino a ritrovare nuovo entusiasmo. Eccone alcune che vedo io: visita dei laici in tempo quaresimale sparita, collaborazione per le famiglie con un bimbo da battezzare sospesa, impoverimento del gruppo famiglie e sostanziale incapacità di coinvolgere i genitori più giovani, fatica nel garantire un’animazione liturgica a tutte le messe (non solo quelle solenni o quelle “private” perché c’è un motivo che mi piace o mi coinvolge), dispersione dei ministri straordinari della Eucaristia, semiabbandono dell’Oratorio e della pastorale giovanile in genere, grande ritrosia nel rendersi disponibili per la catechesi della iniziazione, gap generazionale soprattutto nel volontariato caritativo…
Sono partito da alcuni riti che caratterizzano il ministero del parroco, ma tutti capiscono che la verifica non va fatta su di me. Non sono così masochista! Conosco fin troppo bene i miei numerosi limiti, le mie deboli fragilità, il pessimo carattere…ma come san Paolo ritengo di poter dire anche io: «Fin qui ho combattuto la mia buona battaglia, ho terminato la mia corsa e ho conservato la fede» (2 Tm 4, 7-9). Da buoni brianzoli tutti noi abbiamo il senso del lavoro. Ci siamo dati da fare. Siamo stati animati da abbondante zelo. Ma i nostri tempi – come sta ricordando papa Leone – ci stanno davanti con tutte le loro sfide, le incertezze e le problematiche. Non sono abituato a gettare la spugna. Forse a brontolare e a lamentarmi un po’ troppo, sì. Ma anche questo è segno di amore, vero amore che nutro per la mia comunità. Ecco perché dobbiamo avere il coraggio della verifica, per amore! Chiediamo aiuto a Maria presente alle nozze di Cana che si accorge con occhio materno del problema. E non demorde. E ancora ci dice: «Fate quello che vi dirà». (Gv 2,5)
Vostro parroco, don Massimo
Se queste parole hanno avviato in te qualche riflessione, vieni a discuterne alla ASSEMBLEA PARROCCHIALE
GIOVEDI’ 18 giugno 2025
AULA BOSSI – ORATORIO SAN GIOVANNI BOSCO
VIA T. CREMONA, 7