Non voglio farlo anch’io. Cioè, sprecare le parole. Le parole sono pietre. Oppure come si inquietava Moretti in Palombella rossa: “Chi parla male, pensa male e vive male. Bisogna trovare le parole giuste: le parole sono importanti!”
Non intendo fare il sofista. Però il vangelo di oggi, un po’ ci interpella su questo aspetto della nostra vita. Come uso le parole? Come mi esprimo? Non sto indugiando sul turpiloquio imperante o gli improperi squallidi con cui adorniamo le nostre frasi. Per poi ironizzare, chiedendo scusa per i francesismi!!! Va molto di moda. Lasciamo ai moralisti il giudizio.
Qui c’è in gioco molto di più: il valore della preghiera. Gesù pregava con i salmi, da buon ebreo. Ed erano 150! Quante parole! Eppure il Signore non vuole disprezzarle. Lui si rivolge come sempre al cuore. Siamo sinceri: perché abbiamo la sensazione di aver pregato male, anche se abbiamo pregato a lungo? Perché temiamo che Dio non ci ascolti, anche se abbiamo scaricato su di lui valanghe di espressioni che creiamo noi…?
Per non sbagliare la proposta del vangelo di oggi, famosissima, è quella di pregare con il Padre nostro, insegnato da Gesù stesso ai suoi discepoli. Mi impressiona molto questo. Gesù non ha lasciato scritto nulla. Ma le sue parole così precise e così vere si sono incise nel cuore degli ascoltatori che, quando – decenni dopo – si è trattato di codificare, era come se avessero registrato tutti allo stesso modo. Impressionante. Non perdiamo tempo con tante cose. Adesso vanno di moda le coroncine, le postine, le novene, le cinquine, i nove primi venerdì, i dodici sabati…la gente vive di devozione. E va bene. La fede dei semplici mi ha sempre commosso. Però l’esortazione di Gesù è molto chiara.
Non puoi pretendere che una persona ti ascolti se la stordisci di parole. Non puoi pretendere che il Signore ti ascolti se sei lì a ripetere frasi fatte che non dicono più niente a te e agli altri.
Devi essere lì per riconoscere la sua Paternità. Devi essere lì per accogliere il Regno. È sufficiente.