FLORINDO: Ah briccone!
BEATRICE: Ah galeotto!
FLORINDO: Tu hai servito due padroni nel medesimo tempo?
TRUFFALDINO: Sior si, mi ho fatto sta bravura. Son intrà in sto impegno senza pensarghe; m’ho volesto provar. Ho durà poco, è vero, ma almanco ho la gloria che nissun m’aveva ancora scoverto, se da per mi no me descovriva per l’amor de quella ragazza. Ho fatto una gran fadiga, ho fatto anca dei mancamenti, ma spero che, per rason della stravaganza, tutti sti siori me perdonerà.
Queste sono le battute finali di quel capolavoro di Carlo Goldoni che lessi al liceo. È la storia di Truffaldino che pur di avere la mano della sua Smeraldina si finge servitore nel medesimo tempo di due padroni. Come si può ben immaginare, la trama di questa esilarante commedia si ingarbuglia sempre di più fino a quando il protagonista viene scoperto e deve ammettere il fallimento. Non è possibile servire due padroni! “Ho durà poco…” – è costretto ad ammettere.
Mi viene sempre in mente questo testo ogni qual volta medito il brano di Matteo 6, 24 – 34. Siamo quasi agli sgoccioli del Discorso della Montagna. Veniamo messi di fronte ad un aut-aut. Non si può convivere. Il discepolo di Gesù non può. Amare Dio e la ricchezza non sono congruenti. Sono incompatibili. Non ci sono compromessi. E se ci sono, sappiamo come andrà a finire. Non saremo più persone ma maschere, proprio come Arlecchino o…Truffaldino che dir si voglia…perché si truffa Dio e imbrogliamo noi stessi.
Immagine: Scena della Commedia teatrale: Arlecchino, servitori di due padroni per la regia di Giorgio Strehler