Sotto di me

Paolo Caliari, detto “il Veronese” (1528-1588), Cristo e il centurione, Prado

Gesù lasciata Nazareth sceglie di vivere a Cafarnao, capitale della Galilea. E di qui annuncia che il regno di Dio è vicino. Alle parole fa seguire i gesti: guarisce i malati e conforta i deboli. Si avvicina a lui un centurione, uomo estraneo al culto e alle tradizioni d’Israele. Ha un servo malato e viene da Gesù. Ma chi ha bisogno di guarire lui o il servo per cui si umilia a chiedere? Non lo sa bene perché lo fa, lui che ne comanda 100 e allo schioccare delle dita è abituato ad essere obbedito. Mette da parte il suo orgoglio: “io che ne ho cento sotto di me, sono qui in ginocchio a chiedere…” Ma nello stesso tempo affonda le sue robuste mani di soldato nell’umiltà delle persone forti. Lui è consapevole che non può essere arbitro di ciò che vuole. Non lo è stato mai. Deve rendere conto anche lui: al governatore, ad Augusto!

Lo sento molto vero questo personaggio, molto autentico anche se poi non sa bene neanche come muoversi: cosa dire e cosa fare? Decide di essere spontaneo. Oh, se lo facessimo tutti, quello di essere più umani…!

Ci azzecca. È sufficiente mettere un po’ del proprio cuore nelle mani di Gesù che subito veniamo esauditi. Gesù, infatti, lo stravolge: subito rispondendogli che andrà a casa sua per guarire il servo lo cambia, lo converte, lo salva.

Intimamente gioisce di quel favore ma non ne approfitta. È ancora cauto. Comincia a leggersi dentro. Non vuole che Cristo si scomodi totalmente, altrimenti deve farlo anche lui. E inizia a vergognarsi della sua vita, di come l’ha condotta e di come la sta conducendo ora. Ci pensa e si vergogna ancora di più: si trova davanti a sé stesso, alla propria vita; non può non formulare un giudizio su di sé; e con spontanea verità fotografa esattamente la sua posizione di indegnità; e lo afferma pure! Non è degno che il Maestro si rechi da lui. È un modo chiaro per indicare la divinità di Cristo da parte di un pagano!

E pronuncia quelle splendide parole che ancora oggi ripetiamo nella liturgia quando siamo davanti al mistero di un Dio che si dona fino in fondo nel pane dell’Eucaristia: “O Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, dì soltanto una parola e il mio servo sarà guarito”.

Ribadisco: il servo o il centurione? Il servo del centurione, in effetti, guarisce sulla parola di Gesù all’istante. Ma anche quell’uomo guarisce dopo il suo incontro con il Maestro: ha trovato chi lo comprende nel profondo; ha visto come l’interesse per gli altri può trasformare in maniera sorprendente la sua stessa vita. Non sarà più lo stesso uomo di prima.

Immagine: Paolo Caliari, detto “il Veronese” (1528-1588), Cristo e il centurione, Prado

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Don Massimo

Parroco della Parrocchia di San Gerardo al Corpo

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