Questione di sguardo

zizzania

Resistere al pensare sempre e per prima cosa agli altri, quando ascoltiamo il brano di Matteo raccontatoci oggi dalla liturgia domenicale. Il campo è il nostro cuore. Quindi in noi stessi alberga il grano buono e la temibile zizzania. Smettiamola di essere così manichei da vedere tutto il bene e tutto il male radunato in un luogo solo o in una persona soltanto. I servi lo sono quando propongono di sradicare la zizzania. Il padrone del campo (che ha lo sguardo di Dio) li blocca.

E così facciamo con noi stessi. L’uomo violento che è in noi ci suggerisce di voler strappare dalla nostra vita tutto ciò che non va bene. Ma – chiediti – il tuo animo è capace di sopportare ciò che fisicamente riusciresti con violenza a fare?

Guardiamo piuttosto ai piccoli passi che potevamo fare ma che non abbiamo nemmeno iniziato a compiere. E allora la soluzione potrebbe essere un’altra. Riuscire a guardare noi stessi e il mondo con un altro sguardo, lo sguardo di Gesù. Lui… se c’è buio, comincia ad accendere una lucina. Se c’è aridità, comincia a seminare. Se c’è aria stantia, ci mette un pizzico di lievito.

Certo in tutte le cose, quello che appare subito agli occhi sono le imperfezioni, le debolezze, le cadute, gli scandali. Nessuno è senza zizzania. Fissiamo piuttosto lo sguardo e concentriamo le energie sul potenziale che Dio ha messo in noi. Se ci impegniamo, eromperanno con tutta la loro potenza e ci regaleranno una vita nuova.

E non è solamente questione di “bicchiere mezzo pieno/mezzo vuoto” … queste sono banalità retoriche che continuiamo a ripetere come luoghi comuni. Qui c’è di mezzo la Pasqua, la Resurrezione di nostro Signore che ha fatto nuove tutte le cose!

Per il Signore Risorto conta di più una spiga soltanto, di tutta la zizzania nel campo; non vuole assolutamente sacrificarla. Il bene conta più del male. Una piccola luce, benché piccolissima, ammazza il buio. Quello non è più buio!

Il divino sta in questo. Noi non riusciamo a dimenticare il male fatto o subito. Eppure, quello non ci rivela. Non dice chi siamo finalmente. Siamo molto di più. Noi non coincidiamo con il male commesso. Io non sono la mia debolezza. Se mi guardo allo specchio, potrei fissarmi sul passato, sugli errori, su quanto di me non accetto…ma rimarrei fermo, bloccato e morto. Io mi guardo e vedo quanto ho camminato, quanto sono cambiato, quanto sono maturato.

Il vangelo di questa domenica insomma ci insegna a lavorare: ed il compito religioso che mi sta davanti è semplicemente lasciare che il Signore stesso porti a maturazione il buon seme, il talento, i germi che ha seminato in me. Io devo solo aver fiducia nel mio seminatore. Certo, bisogna un poco collaborare: amare la vita, custodire e trafficare questi talenti, essere capace di accettarsi anche nei difetti, essere indulgenti con gli errori degli altri…

È una strategia. Secondo l’evangelista Matteo porterà ad una rifioritura nella luce.

Don Massimo

Don Massimo

Parroco della Parrocchia di San Gerardo al Corpo

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