Mi pare di aver parlato già più volte del perdono, perciò del Vangelo di questa ventitreesima domenica dell’anno liturgico recupero l’immagine della assemblea. Nel greco neotestamentario il termine usato è chiesa. Ed è un termine piuttosto raro nei vangeli ricorre solo qui e nel mandato petrino di Matteo 16: “Su questa pietra edificherò la mia chiesa”.
È molto significativo questo appellarsi alla comunità. Io me ne avvalgo spesso. Il concetto di assemblea per la Sacra Scrittura deriva dall’atto di convocare, di chiamare a raccolta. Per esempio, quando il popolo di Israele si radunava attorno all’arca della alleanza. Lì sì che il termine era molto usato, quasi cento volte e per di più con la specifica “di Dio” …perché è il Signore che convoca, mica il sacerdote.
Nel nostro caso si fa riferimento a quegli episodi più gravi dove un fratello sbaglia per cui è necessario convocarlo davanti all’assemblea chiamata a derimere la questione. Quindi si può dire che qui la parola non intende la chiesa in generale come poi la penserà san Paolo.
Io, da povero parroco che è a capo di una comunità, capisco così. L’assemblea è di Dio ed è Cristo stesso che si presenta quando due o tre sono radunati nel suo nome. Egli è il centro e principio di ogni comunità cristiana.
È un altro modo per affermare la divinità di Cristo. E questo responsabilizza la comunità stessa che ha il compito di perdonare il fratello che ha sbagliato e riammetterlo nella comunione del Signore. Spesso con il parroco si creano conflitti. E a me dispiace quando diventano tensioni personali. Perciò sono abituato, laddove è possibile, a mettere in pratica questo metodo consigliato da Gesù. Mettersi d’accordo prima con l’interessato. Se non si riesce, chiamare due o tre testimoni. Se non ascolterà nemmeno quelli, sia rinvialo all’assemblea. Mi lascia sereno. Dormo sempre sonni tranquilli.
Qualche volta mi è anche capitato di lasciare andare gli ostinati in balia di Satana.