C’è una profezia raccontata nel secondo libro di Samuele che fa da anello di congiunzione per capire il brano di vangelo di oggi. Al re Davide viene fatto notare che lui vive comodamente in una casa costruita con cedro del Libano, mentre l’Arca dell’Alleanza viaggia ancora sotto una tenda in balia degli attacchi dei nemici.
Anche se le sue mani, pure di pastorello che suonava la cetra, ora sono lorde di sangue per una vita intera da Unto chiamato a consolidare il Regno Dio ha decretato di trovare in Davide, suo Figlio la stabilità di una casa.
Qui l’ebraico gioca sull’ambivalenza del termine baijt che indica sia casa che discendenza, cioè casato. Davide ha conservato ancora un po’ del suo slancio adolescenziale che tira fuori ora solo per un senso di colpa. Vorrebbe lui, illuso, garantire a Dio qualcosa? No, il Signore si oppone non tanto perché contrario al tempio, quanto perché insufficiente la motivazione.
Sarà lui a garantire continuità di genealogia fino alla nascita del vero Messia. E questa è una benedizione antica, già comparsa per la prima volta in Giacobbe, al termine del Genesi. Sarà Salomone, il cui nome significa appunto pacifico, a costruire il tempio, ma sarà anche il Figlio promesso: «Io gli sarò padre, ed egli mi sarà figlio», il vero indice puntato sulla interpretazione della storia della salvezza.
E siamo qui ancora noi, in pieno Avvento a cantare: “Innalzate nei cieli lo sguardo… la salvezza di Dio è vicina…sorgerà dalla casa di Davide….”
Vieni Signore Gesù, la terra è pronta. E in pianto geme.