Che importanza ha per una persona che manca di un arto la sua protesi? O per uno che non può camminare la sua carrozzella? E senza andare lontano, senza i miei occhiali cosa farei? Diventano così indispensabili…per vivere. Per sapere chi sei, per poter fare cose, per avere futuro.
Immagino che la barella – o lettuccio come in certe traduzioni – per quel paralitico fosse il simbolo dell’identità deprivata, degradata, umiliata.
Il male – soprattutto quello congenito – era un segno della propria colpevolezza, ai tempi di Gesù. Lo sappiamo bene dall’episodio del cieco nato: “Che male ha fatto? Chi ha peccato lui o i suoi genitori per meritarsi queto?”
La scena è drammatica. L’interessato da una parte è contento di avere amici e parenti che gli vogliono così bene da desiderare l’inimmaginabile; dall’altra sarà stato devastato da sentimenti di rabbia e di delusione. L’unico appiglio era proprio quell’uomo la cui fama si era sparsa in tutta la regione. Quell’appiglio si chiama fede. E gli veniva donata. Aveva fede.
La folla che fa da ostacolo come sempre. Il clima di tensione e di sospetto. La presenza di uomini importanti. Il tetto che viene disfatto. Tutto crea un clima tesissimo. È più facile rimettere i peccati o guarire un paralitico? La domanda li mette con le spalle al muro. Solo che rimettere i peccati non è per Gesù una frase fatta, una linea di prodotti a basso prezzo pur di vendere, non è un flatus vocis. È la verità della sua vita.
E Gesù vista la loro fede. Cioè la fede, quando c’è si vede… si tocca…ha un peso… Prendi il tuo κράβαττον, cioè il tuo lettuccio, e va. Io ti ho risuscitato. E a Cafarnao videro un infelice che andò via gioioso portando sulle spalle il simbolo di ciò che lo aveva tenuto schiavo per tutta la vita.