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Riparavano le reti

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Il vangelo di questa domenica conserva il sapore di mare, anche se in realtà stiamo parlando del lago di Tiberiade. Per me mare significa Sestri Levante! Quanti anni belli vissuti in terra ligure! E quante volte il mio papà mi portava a conoscere i pescatori e alcuni li trovavo nella Baia delle Favole che riparavano le reti.

C’è ancora il tema della chiamata. Per Marco è una proposta radicale, non un dialogo. Non c’è spazio per le obiezioni. Fatti concreti. Immediati. Gesù trova la doppia coppia impegnata: la prima mentre sta “calando in cerchio le reti” … tradotto in riassettavano; la seconda mentre all’interno ancora della barca le sta aggiustando: riparavano le reti. Termini tecnici, precisi, professionali. Come sempre mi colpisce l’uso dell’avverbio: subito. Sembra abusarne Marco. Pensate lo sfrutta 41 volte su un totale di 51 nel Nuovo Testamento. Intende così esprimere l’urgenza del Regno ma soprattutto la passione emotiva, il carico di attese, il senso di quel momento giunto al colmo del tempo.

Io capisco una cosa semplice: Gesù ha bisogno di gente concreta; chiama i discepoli mentre stanno lavorando, nel pieno della loro attività quotidiana, non in un momento particolare di contemplazione o di preghiera: come a dire che nessuna azione umana è priva della presenza di Dio. E lì si fa riconoscere in maniera sensibile: basta uno sguardo. Semplice: la chiamata di Gesù ha scosso il loro cuore già gonfio di aspettative, ha penetrato il profondo delle loro attese, ha scatenato il desiderio dell’impercettibile e dell’insondabile.

L’incerto non deve far paura. Mi ricordo i mesi prima di entrare in seminario: anno 1983. Era tutto in sospeso. Sentivo che Gesù mi chiamava ma nessun contenuto. Certo mi ero iscritto all’università, studiavo e davo esami. Ma ero in attesa. Non a caso don Martinelli mi fece meditare “Sequela” di Bonhoeffer.

Per questa grande figura morto ammazzato nei campi di concentramento nazisti, andare dietro a Gesù è un qualcosa assolutamente privo di contenuto. Non è in effetti un programma di vita, la cui realizzazione possa apparire sensata, non è uno scopo, un ideale verso cui si possa tendere. Non è affatto qualcosa per cui, secondo l’opinione umana, possa valere la pena di mettere in gioco qualcosa o addirittura se stessi. Diventare discepoli di Cristo non è adesione ad un pensiero o una dottrina “ma una nuova creazione dell’esistenza”.

Bonhoeffer sosteneva che: “Dalle relative sicurezze della vita il discepolo viene proiettato alla piena insicurezza”.

Don Massimo

Don Massimo

Parroco della Parrocchia di San Gerardo al Corpo

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