Lo scorso anno abbiamo iniziato la Quaresima con il lockdown. Non si è potuto ricevere la cenere sul capo, niente liturgie penitenziali, niente processioni, niente Via Crucis. Qualche parroco ha portato in giro il Crocifisso… qualcuno è salito sul campanile a benedire la città…
Ringrazio il Signore che oggi invece si possa vivere questi momenti in maniera più serena e sobria. Man mano che la campagna vaccinale ci restituirà anche la capacità di relazione tutto andrà sempre meglio.
Per ora accogliamo l’invito della liturgia: “… quando fai l’elemosina…”
Non è un termine che mi piaccia molto. Tanti, troppi, lo confondono con la carità che è tutta un’altra faccenda. Eppure anche i fioretti quaresimali corrispondono a questo desiderio di privarsi di qualcosa che comporti un qualche sacrificio perché qualcun altro stia meglio.
Il Santo Padre ha scritto un messaggio per la Quaresima 2021 affidandoci tre riflessioni:
- La fede ci chiama ad accogliere la Verità e a diventarne testimoni, davanti a Dio e davanti a tutti i nostri fratelli e sorelle.
- La speranza come “acqua viva” che ci consente di continuare il nostro cammino
- La carità, vissuta sulle orme di Cristo, nell’attenzione e nella compassione verso ciascuno, è la più alta espressione della nostra fede e della nostra speranza.
Accogliamo questo invito a vivere le virtù teologali.
E di tutto il messaggio a me è piaciuto particolarmente questo passaggio:
Nella Quaresima, stiamo più attenti a «dire parole di incoraggiamento, che confortano, che danno forza, che consolano, che stimolano, invece di parole che umiliano, che rattristano, che irritano, che disprezzano» (Enc. Fratelli tutti [FT], 223). A volte, per dare speranza, basta essere «una persona gentile, che mette da parte le sue preoccupazioni e le sue urgenze per prestare attenzione, per regalare un sorriso, per dire una parola di stimolo, per rendere possibile uno spazio di ascolto in mezzo a tanta indifferenza» (ibid., 224).
Parole buone e gentilezza. Oltre all’elemosina.