Ventiquattrenne. Qualche giorno dopo l’ordinazione sacerdotale. Giugno 1988. A tavola sto parlando con mio padre. Gli confido il mio timore nell’iniziare il ministero del confessionale. Lui si esprimeva in dialetto. Qui riporto in italiano: “…e ricordati sempre che chi arriva fino al tuo confessionale, ha già fatto fatica. Ha vinto il suo amor proprio…con la misura con cui lo giudichi, sarai giudicato tu!”
Lui sosteneva che se uno si mette in ginocchio davanti al Crocifisso, anche se non dice una parola…il Signore lo ha già perdonato. Teologia a buon prezzo? A buon mercato? Non lo so… so che oggi Gesù nel vangelo dice un po’ la stessa cosa. Dal mio confessionale è raro allontanarsi senza ascolto, comprensione e assoluzione. Forse mi sarà capitato due o tre volte in tutti questi anni. E anche quelle volte perché non mi si chiedeva l’assoluzione…
Mi colpisce questa misura che viene posta nel grembo. È il simbolo della generosità. Se tu doni il minimo, riceverai niente. Se tu doni tutto l’amore di cui sei capace, otterrai il centuplo.
E il grembo per eccellenza, quello che mi viene in mente è quello di Maria che ha accolto l’Amore stesso.
Se imitiamo Maria nell’essere grembo e custode dell’amore, non potremo che riconoscerci figli, anzi servi del Signore, strumenti attraverso cui può passare, se siamo umili, la sua misericordia.
Allora diventeremo anche noi grembo che accoglie e custodisce, senza misurare. E se proprio occorre farlo, che sia un eccedere e non un concedere per difetto.