Nota come la parabola del figliol prodigo. Divenne famosa ai tempi del card. Martini come la storia del Padre misericordioso, come preferiva chiamarla. Ma perché non dare spazio anche al figlio non prodigo?
Non tutti siamo come il figlio minore. Soprattutto noi che siamo fedeli da sempre. Battezzati, comunicati, cresimati, sposati in chiesa…ecc. ecc. attivi e superattivi nelle comunità in cui prestiamo il nostro volontariato, veniamo chiamati cristiani impegnati. Attenzione di questo passo, finiremo malissimo…
Infatti nel nostro essere perfetti ci ritroviamo in realtà invidiosi del vitello grasso. C’è qualcuno che fa festa per noi? Nessuno ci apprezza. Magari siamo stati fedeli tutta una vita. E chi ci dice grazie?
E poi arrivano squallidi bellimbusti che hanno sperperato tutto con pubblicani e prostitute…e per questi “fratelli” ci sono veste regale, anello prezioso e sandali nuovi??? No, non ci sto.
Padre tu lo chiami ancora: “Mio fratello?”
Fratello? Ma non è più degno di essere chiamato così! Non mi ricordo nemmeno il suo nome: “Ora che questo qua è tornato, tu hai perso la testa per lui!”
Com’è patetico questo figlio maggiore! Sì, in un certo senso mi è simpatico, perché potrei essere io: una vita di ubbidienza, una vita di fedeltà, una vita di lavoro. Ma in quella richiesta, si rivela tutto di lui. Rinfaccia al Padre una cosa irrisoria…: “Nemmeno un capretto!”
Lui ha già deciso che suo padre non gli avrebbe nemmeno messo a disposizione un capretto, capite. Si auto condanna! Misura il suo “non amore” con la moneta giusta cioè la piccineria, la chiusura mentale, la mancanza di progettualità, il non saper gioire né godere dei doni sempre ricevuti e mai riconosciuti.
“Ciò che è mio è tuo!”: Il Padre mette a disposizione tutto. E noi saremmo capaci di vivere tutta una vita nel risentimento perché abbiamo paura di chiedere il dono di un capretto? Nel capretto mai chiesto si nega anche l’amore del Padre.
E questo è terribile.