Non lo sappiamo. Quali sono stati i segni non registrati dal Vangelo non lo sappiamo. E per quale motivo non sono stati scritti? Erano troppi? Non erano necessari? Perché alcuni sì e gli altri no? A cosa allude la comunità giovannea in questa chiusa del suo Vangelo? Domande importanti. Ci aiuta a capire san Giovanni Paolo II che in una catechesi del 1987 sui miracoli si espresse in questo modo:
“Il miracolo è un «segno» della potenza e dell’amore di Dio che salvano l’uomo in Cristo. Ma, proprio per questo, è nello stesso tempo una chiamata dell’uomo alla fede. Deve portare a credere sia chi viene miracolato, sia i testimoni del miracolo.
Ciò vale per gli stessi apostoli, fin dal primo «segno» fatto da Gesù a Cana di Galilea: fu allora che essi «credettero in lui» (Gv 2,11). Quando poi avvenne la moltiplicazione miracolosa dei pani nei pressi di Cafarnao, con la quale è collegato il preannunzio dell’Eucaristia, l’evangelista nota che «da allora molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andarono più con lui», non essendo in grado di accogliere un linguaggio sembrato loro troppo «duro». Allora Gesù domandò ai Dodici: «Forse anche voi volete andarvene?». Rispose Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole vita eterna, noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio» (cf. Gv 6,66-69). Solo il principio della fede è dunque fondamentale nel rapporto con Cristo, sia come condizione per ottenere il miracolo, sia come scopo per il quale esso è compiuto.
Ciò è ben chiarito alla fine del Vangelo di Giovanni, dove leggiamo: «Molti altri segni fece Gesù in presenza dei suoi discepoli, ma non sono stati scritti in questo libro. Questi sono stati scritti, perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome» (Gv 20,30-31)”.
Molto chiaro. Non andiamo alla ricerca di chissà cosa. Abbiamo già tutto quello che ci serve.