I discorsi di addio solitamente sono strazianti. Mi vengono alla mente i molti modelli letterari di “addio”. Basti ricordare quello shakespeariano al momento in cui Polonio, nell’Amleto, saluta suo figlio Laerte che parte e lo ricopre di raccomandazioni. Oppure l’addio triste di Lucia mentre nei suoi pensieri saluta i suoi monti non sicura di potervi tornare. Ce ne sono anche biblici, i discorsi di Mosè oppure nel Nuovo Testamento il famosissimo discorso di Paolo a Mileto. Tutti che piangono!!!
«Tutti scoppiarono in un gran pianto e gettandosi al collo di Paolo lo baciavano, addolorati soprattutto perché aveva detto che non avrebbero più rivisto il suo volto» (At 20,36-38). Anche meno. Infatti, ogni discorso di commiato porta in sé una nostalgia, quello struggimento che significa lasciare persone e luoghi. Stranamente, di queste emozioni non c’è traccia nelle parole di Gesù all’ultima cena. Anzi Gesù chiede l’allegria.
Ma come avrebbero potuto essere felici i discepoli della partenza del loro Maestro? Gesù non chiede troppo? Non solo è stato con i suoi discepoli per tre lunghi anni ininterrottamente notte e giorno e li ha preparati alla sua morte e risurrezione…ora sa di doversene andare.
E insiste quasi volesse difendere la sua onestà intellettuale. Ve ne ho già parlato, ricordate. Quando ero con voi vi ho detto tutto. Ora dovete solo ricordare, fare memoria. Per dare man forte a questa pedagogia tutta cristica, Gesù parla dello Spirito.
E oggi è Pentecoste. Li lascia ma non li lascia, potremmo dire. La presenza di Gesù – dopo la sua dipartita – si realizzerà attraverso il Consolatore. Lo Spirito “ricorderà”, cioè, farà capire pienamente, riporterà al loro cuore le cose dette e fatte da Gesù. Attenzione però: lo Spirito non porterà nessun insegnamento indipendente dalla rivelazione di Gesù. È come se concludesse: dovete solo fidarvi.
Io ve lo avevo già detto, quando ero con voi.