Otto giorni dopo. Ritorna spesso questo numero. Il sette, caro alla tradizione biblica, lascia il posto all’otto che ai cristiani piacerà di più. Segnala il giorno della risurrezione, l’ottavo. È il primo giorno della settimana per i credenti, e l’ultimo: quando ci si ritrova per l’Eucaristia domenicale, che tanto manca adesso, quanto prima veniva tranquillamente snobbata. Nei vangeli pasquali, il rispetto per questa scadenza – otto giorni dopo – allude sicuramente alla subitanea scelta di ritrovarsi in quel giorno nelle case per spezzare il pane in sua memoria e per ascoltare l’insegnamento degli apostoli, per la preghiera e la carità.
Dall’Apologia di Giustino si ricava che c’era una sola agape fraterna a Gerusalemme e che si radunavano là, arrivando a piedi anche da molto lontano fuori città. Ebbene al primo appuntamento, otto giorni dopo la Pasqua, Tommaso mancava. Forse era uno dei più coraggiosi che si offriva per andare a fare provviste o semplicemente a verificare se pian piano le acque si fossero calmate. Hanno vissuto anche gli apostoli la loro “quarantena” durante la quale hanno dovuto allontanare il virus della paura e dei sospetti, dei rinfacciamenti reciproci e dei sensi di colpa personali, della lentezza a credere e delle impazienze dovute alle ottusità mentali (per esempio, il pregiudizio sulle donne…).
In un tale contesto arriva l’esortazione del Risorto alla pace, al perdono e alla fede. Ancora dopo altri otto giorni. Per molti Tommaso è figura indisponente, arrogante, inopportuna, provocatoria. È passato alla storia come il “ficcanaso” per antonomasia… “che non ci crede finché non ci mette il naso”. Curioso. Dubbioso. Io nutro simpatia per Tommaso, il grande evangelizzatore delle Indie. Perché ritengo che ci sia una sfumatura di più nel suo comportamento. Nella sfacciata richiesta, così ben dipinta da Caravaggio, c’è in realtà il problema del grosso scandalo della croce! Lui le grida di Gesù mentre lo torturavano, se le ricorda. I colpi dei chiodi che hanno straziato il suo corpo gli rimbombano nella testa e gli spezzano il cuore. Il sangue schizzato dal costato devastato dalla lancia lui l’aveva visto davvero. È l’aspetto più difficile da digerire di tutta la faccenda. La Risurrezione non spazza via la Passione e la morte di croce. Il Gesù risorto è lo stesso che ha subito tutto. E allora la professione di fede di Tommaso è la più bella e commovente di tutte: “Mio Signore, mio Dio!” Riuscire a riconoscere Dio nel Crocifisso è il massimo!
Immagine: L’Incredulità di san Tommaso (1600-01) di Caravaggio. È conservato nella Bildergalerie di Potsdam.