Ieri, Nicodemo. Oggi rilancio la figura di Giuseppe, un cipriota addetto agli altari del tempio, un discepolo a me caro. Sono stato ordinato sacerdote nel giorno del suo onomastico, l’11 giugno e ricordo di avergli chiesto in dono parte del suo carattere. Era un levita, vivace a quanto sembra, dal momento che gli apostoli gli affibbiano un soprannome “Figlio dell’esortazione” appunto Barnaba che in ebraico suona anche come forza di consolazione.
Era un membro autorevole dunque della primitiva comunità apostolica, molto ascoltato e rispettato. È lui infatti a far da garante ad un certo Saulo convertito di Tarso che nonostante il cambio di vita suscitava ancora così tante paure. Doveva avere Barnaba un bel caratterino. È noto il suo “litigio” con l’intransigente san Paolo che di fronte ad una incertezza di Marco non lo volle più nella sua missione. Barnaba, anche perché il giovane era suo cugino, vi si oppose. Così Paolo con Sila partirono. Barnaba e Marco si diressero verso la natia Cipro, da dove – dicono fonti non proprio accertate – arrivarono in Italia, a Roma. Leggende non confermate (nemmeno da sant’Ambrogio) riportano la notizia di Barnaba come primo vescovo di Milano.
Ma perché oggi ve ne parlo? Per il gesto che fa, narrato dagli Atti degli apostoli. Docile all’azione dello Spirito non esita a rinunciare ad un campo di cui era padrone e l’intero ricavato lo deposita ai piedi degli apostoli. I primi cristiani mettevano tutto (tutto???) in comune. Ecco! Vedo già le prime smorfie degli anti-comunisti incalliti…Non è un brano da politicizzare, ma da contenutizzare.
Uno dei doni dello Spirito è la pace. Ma come fa il corpo ad essere nella pace, se anche un solo membro soffre? La pandemia 2020 ci ha insegnato anche questo: ad accettare gravi rinunce per il bene comune. Barnaba, che nel 61 d.C. subì il martirio a Salamina, ne sarebbe contento.
Immagine: raffigurazione di Barnaba