“Passiamo all’altra riva”. Mi sono già dedicato a questo brano del vangelo in passato prestando attenzioni a diversi particolari. Per questo oggi, riprendo semplicemente l’esortazione di Gesù, per altro, un vero e proprio comando. Tale imperativo mi pare debba essere sentito da ognuno di noi in un tempo particolare come il nostro dove si dice spesso di cambiare. Siamo in un momento di transizione! Ed è vero.
A me pare però. Che il rischio sia questo: il passaggio è solo apparente, per cui dopo tanto girare si torni alla riva di sempre, senza essere approdati realmente all’altra riva. Gesù invece parla proprio di altra riva. Chiarissimo: bisogna “passare all’altra riva”. E si tratta, secondo la narrazione evangelica, di una traversata niente affatto facile. Sembra, anzitutto, che venga effettuata di sera (lo fa pensare il sonno di Gesù). C’è una analogia ai nostri giorni; qualcuno parla di nebbia, di difficoltà nel vedere la rotta, di caduta di orizzonti ideali: società liquida. Una cosa però è certa: il comando evangelico di passare all’altra riva. I discepoli obbediscono: lasciano la folla, si dirigono verso la barca e prendono con loro il Signore. Non è possibile intraprendere il viaggio imbarcando tutti (la folla), ossia la pesantezza del passato, le abitudini di ieri, uno stile ormai obsoleto. La cosa più importante è prendere con sé il Signore, fare spazio per lui, lasciare che si trovi a suo agio tra noi (anche questo può significare il sonno di Gesù). Potrebbe sembrarci riduttivo, poco efficace, poco evidente e per niente incisivo nella concretezza delle cose. È, in fondo, il rimprovero che Gesù stesso farà alla fine del racconto ai discepoli: “non avete ancora fede?”. Essi si renderanno conto man mano della indispensabilità di avere con sé il Signore.
Con il Signore, affronteremo ogni tipo di “altra riva”.