Il grande scrittore francese, Francois Mauriac (1885-1970), nella sua Vita di Gesù (1936) scrive:
«A chi di noi, dunque, la casa di Emmaus non è familiare? Chi non ha camminato su quella strada, una sera che tutto pareva perduto? Il Cristo era morto in noi. Ce l’avevano preso il mondo, i filosofi e gli scienziati, nostra passione. Non esisteva più nessun Gesù per noi sulla terra. Seguivamo una strada, e qualcuno ci veniva a lato. Eravamo soli e non soli. Era la sera. Ecco una porta aperta, l’oscurità d’una sala ove la fiamma del caminetto non rischiara che il suolo e fa tremolare delle ombre. O pane spezzato! O porzione del pane consumata malgrado tanta miseria! Rimani con noi, perché il giorno declina. Il giorno declina, la vita finisce. L’infanzia sembra più lontana che il principio del mondo, e della giovinezza perduta non sentiamo più altro che l’ultimo mormorio degli alberi morti nel parco irriconoscibile…».
Dalla interpretazione pasquale, vedete che si passa in un attimo ad una considerazione culturale passando attraverso l’esperienza eucaristica di cui il credente non può fare a meno, per finire con una riflessione esistenziale addirittura sul senso della vita e su ciò che di escatologico conserviamo nella nostra fede. Il commento di Mauriac ci insegna che proprio nessuno può rimanere indifferente a questo Cristo che si sottrae dandosi, sparisce apparendo, se ne va riempiendo il cuore, si astiene ma nutre. Confonde ed entusiasma la Pasqua. Abbiamo molto tempo ancora per approfondire
Immagine: I discepoli di Emmaus (1994) di Arcabas