Gesù era un taumaturgo. Guariva. Imponeva le mani e risanava. Dobbiamo riconoscergli questa capacità. Però possiamo dire che non ha mai approfittato del suo potere di guarigione e i miracoli erano sempre finalizzati a manifestare l’arrivo del Regno di Dio in mezzo a noi. E dà una lezione di vita a chi pensa male. A chi non crede nella sua capacità di farci risorgere.
Quindi il brano di oggi non è da annoverare semplicemente nella categoria del miracolo. È un evento che ci costringe a pensare all’essenza del male e del peccato.
Va detto e ribadito: il peccato esiste, nonostante quello che si dice in giro. Ormai niente è peccato. Nessuno aiuta più a fare discernimento su questo. Sembra quasi che sostenere questo sia è un’invenzione dei preti. Non ci si ricorda al contrario che esiste la possibilità per l’uomo, creato per essere un capolavoro, di giocare bene le sue carte e vivere in pienezza la propria libertà.
Invece sceglie di allontanarsi dal progetto che Dio ha su di lui, accontentandosi. Il peccato in tale ottica non è più presentabile come trasgressione di una legge ma il fallimento di un obiettivo: quello di diventare come Dio ci ha immaginato.
Il peccato è male perché ci fa del male, perché rovina ciò che siamo veramente. Al tempo di Gesù si pensava, erroneamente, che la malattia fosse la punizione divina per un peccato commesso. Ricordatevi del cieco nato.
Qui basta ricordare che il peccato può provocare una paralisi dell’anima profonda quanto una paralisi del corpo. Il paralitico del vangelo di oggi è stato aiutato progressivamente a liberarsi dall’errore che blocca. Gesù in pochi attimi torna ad insegnargli a sperare e ad amare. Lo sblocca. Noi cattolici abbiamo un grande dono in questo senso: il sacramento della riconciliazione. Ma ce ne siamo dimenticati. E sono pochissimi quelli che lo prendono sul serio facendolo diventare ritmo di vita.
Reagiamo, non scegliamo di essere paralitici!!
Immagine: Mosaico del Centro Aletti di Vicenza di padre Marcus Ivan Rupnik