Si tratta certamente di un ossimoro. Come fa ad essere dolce un fastidioso giogo? L’espressione «il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero» (Mt 11,30) è ricca di risonanze paradossali. Presa dal vangelo di oggi, XIV domenica del tempo ordinario, riesce a provocarmi. Io nella mia vita non desidero vincoli. Diciamola tutta. Gesù parla di leggerezza. Ma io mi sentirei decisamente più leggero se non ci fosse alcun carico. Invece si avverte una fatalità nelle parole del Maestro. Ci piaccia o no, c’è come un fardello da portare nella vita. Nei casi più drammatici diventa un vero e proprio male, a volte… e lo chiamano “il male di vivere”.
Molti passano attraverso questo giogo e senza nulla dire, come buoi miti e rassegnati, si lasciano infilare sul collo questo peso. Ho in mente volti ben precisi di persone che hanno accudito per anni figli e genitori sul letto della malattia. Famiglie che hanno accettato una disabilità in casa. A volte anche certi lavori o “mancate carriere” diventano un giogo, anche se accolto come rinuncia per amore.
E la gente si stanca. Per gli stanchi e per gli oppressi Gesù scomoda un’immagine veterotestamentaria, sabbatica; parla infatti di riposo (anapausis). Il comandamento del sabato (Es 20, 8-11) esige di lavorare per sei giorni e in seguito ordina il riposo del settimo giorno. Il precetto vede nel riposo sabbatico non tanto una sospensione del lavoro, quanto piuttosto il coronamento dell’operare. Gesù rivoluziona come sempre: non offre una successione di tempi. Presenta al contrario le due componenti come congruenti. Nella misura in cui gli stanchi e gli oppressi guardando a Lui accettano il giogo e il peso, subito trovano ristoro proprio perché il loro riposo è in Gesù. È Gesù stesso! Sarebbe da tradurre all’attivo e cioè in questo modo: “Imparate a essere anche voi miti e umili e allora il vostro giogo coinciderà con il mio e troverete riposo perché, alla lettera: «io vi riposerò (anaopaysō ymas)» (Mt 11,28).
Io scongiuro il Signore sempre di non essere trovato fra quelli che nella vita hanno messo pesi sulle spalle degli altri, propinando loro una presunta volontà di Dio ma che in realtà proveniva solo dall’arbitrio umano. Ce ne sono troppi di uomini che pretendono di parlare in nome di Dio. Ne abbiamo proprio un esempio nel vangelo. Gli scribi e i farisei pongono sulle spalle degli uomini pesi opprimenti e però si guardano bene dallo sfiorarli anche solo con un dito (cfr. Mt 23,4). Non è solo storia passata.
Io non ho nulla da proporre a chi porta tanti pesi. Io vorrei solo avere la forza quotidiana di pregare: “Gesù, o mio dolce giogo!”
Insomma, la questione è: il giogo dolce è quello che porta Gesù stesso (cioè la Croce) o quello che chiede ai discepoli di portare? Entrambi, evidentemente. È l’una e l’altra cosa. Lui non impone agli altri un peso che egli non porti in prima persona. È un problema di coscienza. Non tanto la mia, ma quella di Gesù in persona. C’è solo da fidarsi.
Immagine: Mese di marzo tratto dal Breviarium Grimani – Circa 1510