I miei collaboratori più stretti sanno quanto questa immagine mi sia tanto cara. Mi ricorda i primi passi nel ministero sacerdotale, l’attento ascolto di un maestro – don Angelo carissimo – di un pastore-poeta, le prime collaborazioni con i laici. Si era alla fine degli anni ’80. Gli anni della nuova evangelizzazione. Gli anni che avrebbero portato alla caduta del muro di Berlino. Anni ricchi di speranza, con tanta voglia di cambiamento. Pure nella chiesa – evento più unico che raro! – nei cristiani semplici (non nei super-apostoli!) notavo una passione, un sincero coinvolgimento nell’amore per la Parola e nell’assunzione di responsabilità. È ancora così? Mah
Sta di fatto che in quella milanese parrocchia, dove ho imparato ad essere prete – san Giovanni in Laterano -, dopo anni di lavoro ci eravamo dati un progetto pastorale che aveva proprio questo titolo, ispirato al brano di vangelo che ci propone le parabole della crescita.
Gesù ci parla di un seme piccolissimo, il più piccolo. Gesù ci chiede di essere lievito, che è pochissimo rispetto alla pasta. Attenzione, non è la retorica del meglio pochi e buoni. Non è la trita e ritrita solfa del meglio essere minoranza… che mi sembra stonata a fronte del mandato di Cristo che ci invia a tutti o quanto meno ai più. C’è di più: uno stile.
Qui è l’esaltazione della grazia di Dio. Il regno non si moltiplica per le nostre idee e le nostre azioni… Il Regno c’è già. Noi abbiamo il compito di creare le condizioni di possibilità attraverso le quali esso possa espandersi.
Sogno anche qui a Monza, una parrocchia (la mia??) che abbia la consapevolezza di essere piccola piccola, ma capace di offrire a chiunque arrivi un ramo su cui posarsi e riposarsi. Custodisca la tenerezza di una foglia che possa far ombra. Non si arrocchi sul già fatto e già detto, altrimenti non cresce più. Sappia accogliere senza trattenere, perché così fa un albero. Possano trovare ristoro tutti i tipi di uccelli, senza distinzione.
Siamo molto lontani da questo modello indicato da Gesù.
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