Mi commuovo di fronte alla sensibilità degli ipovedenti. A volte sanno scrutare l’orizzonte meglio di noi sani. Sbalordisco poi (e mi impressiona tanto) quando – ammirato – vedo sciatori ciechi che osano sfidare il loro limite e si lasciano guidare, lanciandosi in pista.
Spesso mi fermo a considerare come il buon Dio possa aver affidato a me una vocazione che richiede abbastanza di essere un leader. E quando uno vagola nel buio e non vede i passi ulteriori che ci sono da compiere per sé e per la comunità, pensa a quelle invettive bibliche e profetiche: “Guai a voi, guide cieche…!!”
Oggi il vangelo quotidiano ce ne propone una. L’incoerenza ci porta a correre un bel rischio: quello di essere come delle guide cieche che conducono altri. L’esito è disastroso ed ovvio: precipitare nel dirupo.
Nel cammino della vita mi ha consolato spesso il confronto con genitori o con imprenditori, che più di una volta mi hanno candidamente confessato che anche loro, in certi momenti di difficoltà, hanno avuto la stessa impressione. Sarebbe bello abdicare, in quei casi. Ma non è possibile. Ed è un po’ da vigliacchi.
E accorgersi che siamo guide cieche quando abbiamo l’orgogliosa presunzione di sapere tutto: sia la méta che la strada per arrivarci. Senza considerare la vita stessa che è piena di imprevisti. Senza considerare il cuore umano che è un guazzabuglio. Senza avere l’umiltà necessaria per ammettere che senza Gesù non si va da nessuna parte. L’immagine della trave e della pagliuzza l’abbiamo già commentata altrove. Qui per concludere si ribadisce che è urgente, ripartire daccapo. Tornare ad essere discepoli che hanno sempre da imparare da ogni cosa e situazione, da ogni persona. Dobbiamo solo vigilare sempre sulla superbia, su ciò che ci impedisce di vedere dove mettere il piede. Ristabiliamo le priorità nella nostra vita, seguiamo saldamente le orme del Maestro perché le vere guide sanno vedere oltre.
Ricordo una volta in montagna: salendo, e ormai si era in alto, attraversavamo un ghiacciaio ed io con un pezzo di corda con cui ero legato ad altri due, continuavo a battere sulla neve. E la guida mi diceva di smettere. E io non capivo perché stessi sbagliando. Era un trastullo che mi faceva camminare, stanco com’ero.
Il giorno dopo ho capito. La mia cora era tutta un ghiaccio, perché di notte la temperatura era scesa sottozero. Ed era inservibile. Quella guida non era cieca.