Oggi festeggio. Lo faccio sempre. Mi piace più del compleanno. Nel giorno della Esaltazione della Santa Croce fui battezzato da Mons. Marino Colombo, allora prevosto di Carate Brianza.
Mi fa sorridere il Santo Padre quando insiste nelle udienze su questa conoscenza che tutti dovrebbero avere (ma che quasi nessuno ha) della data del proprio battesimo. Ed invita a cercarla e a rammentarla. Per quanto mi riguarda è impossibile dimenticarla.
Ero un bimbo vivace, almeno in casa, e facevo disperare spesso. Quante ciabattate che mi sono arrivate! Mi madre con una mira precisissima mi beccava sempre, esclamando: “Te sé sta batezaà ul dì de la Santa Cruss! Te set propri un cruss!” Per cui sin da bambino lo sapevo bene. E nel mio immaginario puerile chissà cosa mi figuravo. Gli esaltati non erano belle persone. E poi la croce, non era il patibolo su cui era morto Gesù… come si poteva esaltarla? Ho imparato a considerarla un ossimoro, questa espressione festosa!
A dire il vero, pensavo: “Non c’è nulla di bello nella croce, nulla di esaltante nel dolore, mai!” Però mi ha aiutato, crescendo, l’arte. Mi appassiona. E davanti a certe raffigurazioni della croce, capisci il messaggio. Ciò che oggi esaltiamo è la testimonianza d’amore che da quella croce Gesù ha dimostrato verso di noi. Noi sappiamo che Gesù ha cercato di evitare la morte. Non era imprudente. E quelle volte andò così perché “non era giunta la sua ora”.
Eppure, ad un certo punto, la croce si è rivelata necessaria per manifestare la serietà delle sue intenzioni, la verità della sua predicazione. E diciamolo una volta per tutte: la Croce è simbolo della donazione totale di sé. Quando è diventato segno di altro, son stati guai!
Chissà se lo avesse saputo la madre di Costantino quando l’ha sfruttata per il rilancio del cristianesimo sulle ceneri del decadente Impero Romano… L’avrebbe fatto ugualmente?
Immagine: L’esaltazione della croce e Sant’Elena di G. Tiepolo Venezia, 1696 – Madrid, 1770