Devo dire che in questi trentadue anni di ministero non ho mai sofferto di solitudine. Forse quando mi sono ritrovato per alcuni anni da solo parroco di Asso e Lasnigo, da solo. La sensazione era proprio strana. Non ci si poteva permettere il lusso di avere due o tre lineette di febbre. Ma poi il vescovo mi mandò anche lì un aiuto per l’oratorio.
In ogni parrocchia in cui sono stato, ho sempre goduto della collaborazione di altri sacerdoti. E nel vangelo di oggi Luca parla ancora di missione e istruisce i discepoli su come comportarsi.
Il gruppo per la verità era numeroso. Evidentemente siamo ancora nel tempo in cui si gustava l’euforia dei neofiti. Il numero – settanta – fra l’altro ricorda Mosè e la sua gestione allargata del popolo.
Dovrebbe essere come uno stato di grazia, una sorta di innamoramento, di cui tutti si accorgono. Non si può nascondere. Il discepolo parla prima con la sua vita che con le sue parole. E in più Cristo suggerisce anche uno stile. Per esempio, mai da soli: a due a due, mai solitari, in coppia cioè in comunione con la Chiesa.
E il mio pensiero va a quei parroci, magari in diocesi di campagna o di montagna, dove il vescovo è costretto ad affidare ad una persona sola molte parrocchie. Se non trovano accoglienza nei laici e se non fossero capaci di relazioni semplici, calde e amorevoli… ritengo che il loro ministero prima o poi si inaridisca o finisca addirittura male.