Da una parte la premurosa e misericordia divina che non si dà mai per vinta, dall’altra l’ostinazione puerile e ingenua dei nostri continui traviamenti. Sì, pecorella è immagine bucolica. Perfino nell’inventare gli elementi della parabola, Gesù è dolce. Laddove i farisei e i pubblicani si schifavano (andare a mangiare di peccatori???), il Maestro provava un’infinita dolcezza.
Ma questo non toglie la gravità della nostra caparbietà. Alla pecorella è chiesto di rimanere nel gregge e non perché il cristianesimo sia religione di pecoroni, di appiattiti e di omologati. L’oppio dei popoli ce lo siamo già fumati un po’ tutti, soprattutto quelli che accusavano la Chiesa… loro sono finiti peggio…
Alla pecorella è chiesto di essere pecorella, perché risalti la custodia, l’amore, la misericordia del Pastore. È ancora l’antico schema dell’alleanza del primo testamento. E invece noi, pecorella intestardite, vogliamo provare l’ebbrezza di andarcene in solitaria… Bene, vai allora! Idolatra, che non sei altro!
Ma cosa credi di trovare? È già nel conto: i ladroni che ti arrostiranno, il lupo che ti sbranerà o se ti va bene… un dirupo in cui cadrai. È umana esperienza. Lo si deve ammettere. Umanamente, siamo fragili e peccatori. Punto. Da soli non ce la si fa.
E dunque splende come non mai la luce che rischiara quel volto di pastore che angosciato, sudato, ansimante…corre e corre… e si mette sulle nostre tracce e non si dà per vinto, fin quando non ritrova lo smarrito.
È bello quando questo capita a chi si converte da una vita lontana dal Signore. Ma se pecorella smarrita, ogni giorno, fossi anche io? È più problematico.
Però mi consola questa volontà di recupero da parte del Pastore che è inesauribile. Ne sono certo. Io lo lascio fare e ogni volta mi ritrova.