Si sta davanti al vangelo di oggi, come quando si arriva nella Cappella Sistina al termine dell’itinerario: senza respiro. Ti imbatti nel Giudizio universale e ti manca il fiato.
Il Vangelo dipinge una scena potente, drammatica. Sembra un vortice al centro del quale Cristo sembra roteare su sé stesso, operando il suo discernimento. Non sta punendo nessuno. Sta rivelando la verità ultima su ciascun essere. Ci siamo mai chiesti cosa resterà di noi dopo di noi? Io spesso. E mi rispondo: polvere. Che cosa resta della nostra persona quando non rimane più niente? Niente.
Ma non è così. La nostra fede in Gesù Risorto ci porta a credere che alla sera della vita rimane l’amore, dato e ricevuto. Avevo fame, avevo sete, ero straniero, nudo, malato, in carcere: e tu ci sei stato. Hai agito. Anche se eri inconsapevole che lo facevi a Lui.
Questo sorprende. Gesù si identifica con gli uomini. Quando agivano peer amore, voi lo facevate a me. Il povero è come Dio! Ecco perché papa Francesco insiste tanto su questo. Corpo di Dio, carne di Dio sono i piccoli. Quando tocchi un povero è Lui che tocchi. Il male compiuto è perdonato e cancellato. Al contrario, per lui non va dimenticato nessuno – nessuno, dico – dei più piccoli gesti buoni. Dio ha la memoria lunga. Per questo non può non allontanare quelli che a tutti i costi hanno scelto di autoescludersi dalla salvezza. Gli allontanati da Dio che male hanno commesso, se anche loro non erano consapevoli del male stesso? Il loro torto ancora più grave del peccato è l’omissione: non hanno fatto il bene! Non vengono cacciati perché hanno commesso il male, ma perché non hanno compiuto il bene che potevano.
Papa Francesco la chiama: “Globalizzazione dell’indifferenza!” Tremendo.