Il 24 marzo di ogni anno, data dell’assassinio di mons. Romero, noi ricordiamo tutti i martiri cristiani ammazzati nell’ultimo anno. E sono sempre tanti, troppi. Ci sono stati decenni in cui questo non succedeva più, o molto di meno. Adesso è una carneficina. Pensavamo che il martirio fosse finito. Invece dobbiamo fare ancora i conti con la storia. Che si ripete.
Il mondo si accanisce contro i cristiani. Noi siamo chiamati a vivere nel mondo, senza mai uniformarci ad esso. Se nella nostra testimonianza cristiana non abbiamo difficoltà, dubito che siamo dei veri e buoni cristiani.
Mi ricordo una volta: ero giovane parroco a Villa San Carlo, un ameno borgo a sud di Lecco… avevo invitato il provicario generale, un amico… Mons. Mario Spezzibottiani a celebrare una messa. La mia mamma, che lo conosceva, si avvicina per salutarlo e inaspettatamente alla domanda del prelato: “Come va don Massimo?”, rispose di getto: “Lui è contento, ma si fa molti nemici!”.
Volevo fulminarla. “Cosa vai a dirgli?” – ho pensato -…guardandola con uno sguardo severissimo. Però con mia grande sorpresa don Mario a voce alta, rispose con disinvoltura e sicurezza: “Si vede che sta facendo bene il prete!”
Rimasi basito. Invece di rimproverarmi, cercò di far riflettere sul valore della testimonianza che diventa grande non se abbiamo vita facile e molto consenso. Ma se è perseverante. I tempi sono difficili per tutti. E forse peggioreranno. Ma Gesù è chiaro: invece che lasciarsi andare o demoralizzarsi, invita ad andare avanti, a non mollare, ad essere perseveranti. Interroghiamoci sul nostro cristianesimo dimesso e sciupato, fatto di distinguo e di fragili appartenenze. Siamo cristiani perché nati in Italia ma non solo non conosciamo la nostra fede ma nemmeno, spesso, sapremmo rendere ragione della nostra fede.
Non prepariamo prima la nostra difesa. Cerchiamo solo di essere docili allo Spirito. E ci salveremo.