Abbiamo già parlato di un bestiario evangelico. Mi piacerebbe avere il tempo di analizzare anche una sorta di botanica evangelica: il sicomoro di Zaccheo, l’albero sviluppato dal granello di senapa, le piante di grano che biondeggiano, i rami di ulivo, i filari di vite… il Vangelo ne è pieno. Però il fico è particolare. È citato più volte.
Ieri siamo stati invitati a sollevare lo sguardo e a non lasciarci bloccare dal terrore. Oggi il discorso si approfondisce. Non c’è spazio per il discepolo di Gesù che si sia messo alla sua sequela (non dimentichiamoci che son gli ultimi giorni dell’anno liturgico), non c’è spazio – dicevo – per lo scoraggiamento e la paura, sempre figlie dell’egoismo.
Gesù ci chiede di tenere duro, di non abbatterci, di avere una visione alta e altra della vita. Forse i primi cristiani, sentendo parlare di fine del mondo si erano messi in mente che fosse imminente. È un argomento che sfugge ma che dobbiamo pur fare. Perfino la scienza lo sostiene. Il fuoco che arde all’interno del globo terreste si spegnerà. Ma grazie a Dio noi non ci saremo più…!
Dobbiamo essere chiari. Altro che “mille non più mille” … di medievale portata …che inesorabilmente ritorna sempre nell’immaginario collettivo, ogni volta che capita qualcosa di grave. La fine del mondo non ha datazione. Sfugge a questi argomenti. Il vero problema è che ogni calamità invoca la nostra conversione. Ma noi, finita l’emozione del momento con il suo impatto, torniamo proprio come prima.
Dovremmo saper guardare il fico e gioire dei suoi germogli. Ma siamo ciechi. Oppure, semplicemente non vogliamo guardare.