Sono capace anch’io di avere compassione. Ma un po’ meno di dare da mangiare ad una folla. Ieri mi sono soffermato sulla capacità di essere piccolo per poter seguire Gesù. Se lo accosto da saputello, non c’è spazio per la sua Parola. Prima mi svuoto e poi lo seguo. Anche lui, del resto, ha scelto questo metodo. L’incarnazione non è nient’altro che lo svuotarsi di Dio. Un grande teologo se non ricordo male – lo definiva l’autoesinanirsi di Dio. Lui che possedeva il tesoro geloso della stessa uguaglianza con Dio, si è fatto uomo. Cominciare l’Avvento significa prepararsi a questo evento senza più scandalizzarsi. Matteo insiste molto sulla umanità di Gesù, veicolo della divinità di Dio. Gesù, il rivelatore del Padre.
Oggi giorno è già molto umano riuscire a provare compassione. È un lusso di pochi. Anche nei discorsi che facciamo: aggressività, arroganza, supponenza, durezza. Qui ci viene mostrato il volto di un Dio che sente compassione per la folla.
Quanto sono consapevole di esserci anch’io in quella folla? Riesco a restituire la mia commozione al Signore Gesù che piange per me, per la mia fame, per il mio essere gregge senza pastore? Se accadesse, mi sarebbe donata grandissima dignità: la dignità di figlio e di uomo.
E invece no! Ci colpisce di più l’inadeguatezza della proposta. E come si fa a dare da mangiare a così tanta gente con sette pani e pochi pesciolini? Sette, sarà un riferimento ai primi diaconi? Pochi pesciolini, sarà allusione alla professione di fede? Può essere, visto che avanza così tanto cibo da riempire ben sette sporte… ma l’importante appunto non è la nostra inadeguatezza. Decisivo è riconoscere in lui il Messia. L’uomo che ha compassione è anche il Figlio di Dio.
Di questo dobbiamo rendere grazie. Ed imparare a nutrire un po’ di più la compassione. Prima che per gli altri… per noi stessi.