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L’ora dell’incenso

incenso

Fin da piccolo sono stato abituato a maneggiare il turibolo. In questi ultimi anni sono un po’ impacciato perché non so usarlo alla maniera del rito romano. Ma c’è sempre tempo per imparare. Amo l’incenso. Mi innervosisco quando la gente comincia a tossire mentre viene usato. A me non dà fastidio, al contrario, dilata le narici e se è un buon incenso mi fa star bene.

Il suo uso nelle liturgie viene da molto lontano. Forse dall’oriente, svariati millenni prima di Cristo. C’è un chiaro riferimento in Esodo, al momento della costruzione dell’altare. L’uso di incensare diventa un comando per i leviti. Qui, nel brano di oggi, è chiara l’insistenza…per tre volte se ne parla. Aiuta immaginarsi la scena. Zaccaria completamente avvolto dal fumo dell’incenso. Badate bene, non si vuole dire che sta accadendo qualcosa di “fumoso” appunto… al contrario: è una rivelazione.

Siamo alla presenza di una delle ultime volte che il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe si rivolge all’umanità in questo modo. La prossima sarà in un’umile dimora di Nazaret dove il Signore diventa carne in un piccolo grembo.

Qui è clamorosa ancora la diversità: tempio, sacerdote, altare, angelofania, incenso, canti, distacco dal popolo… sono tutti elementi del passato, del Primo testamento. Sta avvenendo qualcosa di nuovo che cambia tutto il mondo.

Questa ora dell’incenso che ha il sapore della preghiera, del dovere, del rito… aveva un suo ruolo dove troppo determinante è ancora l’uomo. Ora Dio si è stancato.

Non si farà più trovare nell’austerità del tempio e nell’arbitrio dei suoi sacerdoti, ma nella ferialità semplice, quasi banale del quotidiano. La sua grazia lo riempirà di cose nuove perché ormai è chiaro che a Dio tutto è possibile.

Il povero Zaccaria, povero, vecchio e deluso, oserei dire sacerdote ormai più per mestiere che per vocazione, viene tramortito! Lui che adesso è troppo lento per la dinamica feconda di Dio. Lo travolge. Si chiude invece che aprirsi. Si lascia bloccare dal dubbio invece che credere alla possibilità. Gli sarà fatale. L’angelo decreta il mutismo.

Essere muto per un sacerdote è la morte. Lo sarà per nove mesi, lo spazio di una gestazione che gli consente di rinascere, di diventare anche lui una nuova creatura. La batosta deve essere stata potente se alla fine l’ha capita. Fa niente se non c’era nessuno di nome Giovanni, nel suo casato. Ora c’è il Signore a riempire il suo cuore.

Le volute dell’incenso non avvolgono più Zaccaria per nasconderlo, ma salgono al cielo come una lode perenne che noi sacerdoti intoniamo ogni mattina nel Benedictus.

Don Massimo

Don Massimo

Parroco della Parrocchia di San Gerardo al Corpo

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