Mancano pochi giorni al Santo Natale. La liturgia ci propone per l’ennesima volta il Magnificat con cui concludiamo ogni sera la preghiera del vespro. Questo lirico testo termina facendo riferimento proprio all’opera più grande compiuta da Dio: l’incarnazione del Figlio. Maria riconosce di essere la serva di tutti e che attraverso il suo sì l’opera che in lei si compie sarà per il bene di tutto Israele.
Si colloca anche lei, dunque, fra i grandi padri che ci hanno preceduto. E fa un’operazione interessante. Divide Israele in due parti, scegliendo la parte che si dedica al servizio di Dio. Serve Dio solo colui che riconoscendolo come tale, lo lascia operare dentro di sé. Coloro che ci hanno preceduto sono grandi non per meriti propri ma perché hanno permesso questa lunga storia d’amore.
L’incarnazione è per Israele che serve Dio. E Dio si è ricordato della sua misericordia, l’aveva promessa: quando è venuto sulla terra l’ha portata a compimento. Non avevamo meriti per avere misericordia, anzi, per quanto bisognosi, eravamo piuttosto indegni. Viene innalzata la grazia e la misericordia e svalutata qualsiasi presunzione umana. Maria riparte da qua. Riprende la promessa fatta ad Abramo: «Farò di te una grande nazione e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e possa tu essere una benedizione» (Gn 12,2). E la regala a tutti.
Ci siamo dentro anche noi, a questo punto, in quanto preannunciano Cristo, il Salvatore di tutti gli uomini. Se sono benedetti tutti i popoli che discendono da Abramo, significa che non c’è benedizione per tutti se non quella che deriva da Abramo e così si è liberati da ogni maledizione. La promessa si è compiuta in Maria, pertanto, questo deve suscitare la fede in Cristo. Entusiasmante, siam dentro anche noi proprio come i nostri padri.