πινακίδιον si chiamava, un diminutivo. Era una piccola tavola di legno, probabilmente. O di coccio. O di pietra. Con spalmato qualcosa che inciso potesse essere mostrato. Mi ricordano le famose tabulae rasae dell’Antica Roma, dove corrispondevano appunto a tavolette di cera cancellabile in modo da poter essere usata per riscrivervi sopra. Metaforizzato è un concetto applicabile all’intelletto.
Zaccaria è completamente trasformato. I nove mesi di mutismo l’hanno riconsegnato a sé stesso. È cresciuto interiormente. E ne abbiamo la certezza, nella determinazione con cui si fa dare la tavoletta. La chiamerei “la tavoletta di Zaccaria” in un percorso di conversione. Se sei autentico arrivi ad un punto di non ritorno attraverso il quale riconosci a te stesso e agli altri, che la grazia di Dio ti ha trasformato.
Solitamente tabula rasa non è associabile ad una realtà positiva. Mi sa tanto di azzeramento, di appiattimento, di privazione, di stress, di essere diventati come alieni. In questo caso no.
Il nome da dare al figlio rappresentava ancora tutte le certezze del passato. Certezze che però si erano spente come cenere abbandonata in un camino non custodito. Ora Zaccaria dice: “Basta!” e riconoscendo a suo figlio il nome di Giovanni accoglie finalmente e autenticamente la volontà di Dio su di lui e sul popolo intero. E questo genera stupore.
Oh, volesse il cielo che anche noi ci aprissimo con tutto il cuore al Verbo che desidera entrare nella nostra storia per illuminarla e salvarla!