È Natale. Ancora una volta. Il calendario è inesorabile anche in tempi sospesi come questi. Arrivare fino a Betlemme. Questo ci è chiesto. E abbandonarsi nello sguardo. Lasciare andare il cuore e sostare. Cosa vedi? Solo un bimbo avvolto in fasce.
Mi ricordo in Terrasanta la grossa emozione che provai nell’appoggiare la mano sulla stella che la tradizione indica come il punto in cui Gesù toccò per la prima volta la terra. Scoppiai in un pianto dirotto. Al Santo Sepolcro, mi commossi. Ma a Betlemme piansi, forte. Per la gioia.
Ed essere riguardato da quegli occhi è ancora più forte. Gli occhi che videro Maria, anche lei quasi bambina. Ma non così inesperta da non sapere come si fa, ad avvolgere una creatura nelle fasce. Assicurargli il caldo della mangiatoia.
Sono proprio questi i due semplici gesti, i primissimi. Avvolgere e deporre. Sono quanto di più tenero e quotidiano può esser detto di qualunque parto che avvenga in condizioni precarie: avvolgere in fasce il corpicino nudo e indifeso appena venuto alla luce e deporlo in quella mangiatoia che richiama un ìncavo di legno o scavato nella roccia, per sé destinato all’uso degli animali ivi forse anche in quel momento custoditi.
Questi gesti assumono la solennità di una liturgia. Un rito natalizio che san Francesco volle ripetere.
Ci sono tanti tipi di donne, ma quando arrivano fin lì…a partorire…cadono tutti gli schemi e le maschere. Nel partorire c’è il coinvolgimento di tutt’intera la persona, che ha aperto all’agire di Dio il cuore, la mente, il corpo, entrando così responsabilmente, con tutta sé stessa e sino in fondo, nel farsi dell’evento che accade da Dio.
Tutto veniva da Dio. Ma adesso c’è bisogno dell’opera umana, che è ancora sua, ma chiede tutta la libertà possibile. Partorire, avvolgere, deporre… c’è il materno prendersi cura, in tutti i suoi aspetti, della creatura che, venendo da Dio, è Dio essa stessa, ma in lei e da lei – Maria – ora è generata nel tempo e nella carne.
E nel deporre nella mangiatoia c’è il consentire al destino di amore e di dolore, anticipato in quelle fasce che ricordano tanto, troppo… il lenzuolo della Sindone.