A distanza

Lo stesso termine in greco usato ieri per dire la vicinanza dello scriba sincero al Regno di Dio lo ritroviamo oggi. Qui parlando del pubblicano pentito si usa ancora: μακρόθεν, a distanza.

La persona che gli altri giudicano lontana da Dio si autolimita concedendosi un rapporto a distanza: se ne sta lontano, in fondo, non osa nemmeno alzare lo sguardo al cielo, si batte il petto. Sarà sinceramente pentito?

Perché è facile schierarsi subito con lui, dal momento che conosciamo la fine della storia. Di per sé questa volta Gesù costruisce la sua parabola con profondo equilibrio. Il fariseo non mente. Anche lui è sincero. Perché dovrebbe vantarsi in maniera meschina di ciò che non fa? Lui fa. E fa alla perfezione. Sembra anzi che voglia avere Dio a testimonianza sua: “Oh Signore, tu lo sai che io…”

Davvero è un giusto, un pio israelita, un vero devoto. E allo stesso modo il fellone là in fondo lo è per davvero. Ce n’erano di pubblicani veramente bastardi! Esercitavano l’usura con prepotenza e violenza. E Gesù non mi pare si metta a fare l’elogio del pubblicano, né si soffermi a denigrare l’onesto.

Però non è chi non veda che il fariseo è troppo fiero di sé, un pavone…io io io!

Quando parlo, mi accorgo che uso anche io questo pronome personale spesso. Psicologicamente ci appaga circa la felice identità e la ricercata gratificazione…

Allora mi permetto di allertare coloro che hanno già accolto la Parola di Dio, mettendoli in guardia dal non cadere in questo tranello. Quando usiamo sovente la parola “io”, ci dimentichiamo di essere un “noi”. E davanti a Dio si sta come comunità.

Anche nelle liturgie tutte le orazioni che il sacerdote pronuncia sono al plurale: “preghiamo!”. Colmiamo dunque l’abisso che ci separa dal fratello lontano o in ricerca o inquieto, approfittando quotidianamente della grazia del Signore.

E le distanze saranno superate. Mendicanti entrambi.