Ci sono stato. C’è una vista mozzafiato. Sul monte Nebo è issata una croce che ricorda quell’episodio. Da lì Mosè diede l’ultimo sguardo prima di andare a morire, l’ultimo sguardo al cammino fatto nel deserto. Nel deserto c’erano state tante insidie, proprio come i serpenti fra le pietraie. Il racconto dei Numeri è vivace e coinvolgente. Mosè si costruirà una croce (prefigurazione di quella di Cristo) incrociando un bastone con il serpente di bronzo.
Anche a Timna ci sono stato, durante un soggiorno nei pressi di Betlemme nel ventesimo anniversario di sacerdozio ad ascoltare il card. Martini che ci dettò gli esercizi spirituali sul valore della grande intercessione. Ebbene in quel deserto sono stati trovati tantissimi amuleti, piccoli serpenti di rame, metallo che là abbondava, ai quali gli archeologi attribuiscono valore apotropaico di protezione magica.
La narrazione biblica sottolinea che la liberazione dalla morte per avvelenamento avveniva solo se si “guardava” il serpente innalzato, cioè se si aveva uno sguardo di fede nei confronti di quel “simbolo di salvezza”. Gesù, nel dialogo notturno con Nicodemo, stabilisce un parallelo tra quel segno di salvezza e «il Figlio dell’uomo innalzato», cioè sé stesso crocifisso.
Nella sensibilità attuale essere innalzato su un trono così, non corrisponde a criteri di glorificazione, eppure il Maestro si era espresso proprio in tal senso: «Quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me» (12,32).
Questo è uno dei modi per definire la Pasqua: esaltazione, elevazione, glorificazione, ascensione. Insomma l’esito della incarnazione, della umiliazione, dell’abbassamento è un essere elevato in alto. Che significa teologicamente: Gesù ritorna nella gloria della divinità, celata nella sua umanità, “sale” a quel cielo che è considerato come il segno dell’eterno e dell’infinito, l’ambito divino.
La conclusione allora può essere questa, nella quarta domenica di Quaresima tutta inspirata alla gioia anticipata della Pasqua: rallegrati Gerusalemme (Laetare) perché come gli Israeliti che contemplavano con fede il segno del serpente innalzato erano sanati, così «chiunque crede in lui [nel Figlio dell’uomo innalzato] avrà la vita eterna» (3,15).
Una buona prospettiva che rilancia la speranza.