Padre, Figlio e Spirito: persone diverse e ruoli diversi per un Dio che si coinvolge nella nostra storia. È la festa della Santissima Trinità. Del vangelo proposto dalla liturgia recupero il versetto 12 del capitolo 16 di Giovanni. Parole forse di passaggio. Parole a cui non prestiamo la sufficiente attenzione. Mi concentro su quel “peso” citato dal Signore: Ἔτι πολλὰ ἔχω ὑμῖν λέγειν, ἀλλ’ οὐ δύνασθε βαστάζειν ἄρτι e cioè: «Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non potete portarne il peso».
Bastàzein, infinto del verbo βαστάζω (da cui basto e bastone) che indica l’azione del portare su di sé; sostenere qualcosa di gravoso sulla propria persona. E già qua io mi chiedo: “Sono una zavorra per il Signore, per la comunità cristiana, per gli altri?” o sono presenza leggera. Chi mi incontra, si esprime con un sorriso o intristisce il volto?
Oppure: finora nella mia vita che tipo di peso ho portato per amore di Gesù? O ritengo di essere forte nella fede semplicemente perché è sempre andato tutto bene? A volte ci dimentichiamo che il primo a portare il peso dei nostri peccato è stato Gesù stesso. E noi? Ci sforziamo di portare qualche piccolo peso. Il verbo che viene usato quando gli piantano la croce sulle spalle è lo stesso che Giovanni usa qui.
Festeggiare la festa della Trinità non sia un perdersi in questione teologiche e dogmatiche, in definizioni di un Dio asettico e avulso dalla storia. Ma dimostrazione di amore e di piena comunione di un Dio che si è sporcato le mani, non portando solo la croce, ma sostenendo anche ciascuno di noi.
Noi momenti di miseria e di fragilità.