Del brano di Zaccheo proposto oggi dalla liturgia domenicale raccolgo solo questa espressione, già usata dal Battista nella sua forte predicazione: “Razza di vipere! Fate frutti di conversione perché Dio può suscitare figli di Abramo anche da queste pietre, ma voi non siete i figli di Abramo”. Evidentemente questa era una espressione tipica ai tempi di Gesù.
Zaccheo, nonostante la vita non proprio integerrima, viene considerato figlio di Abramo. Questo “tappetto” che rischia il ridicolo nel salire sul sicomoro (non badando più alle arie e alla pseudo-dignità che si era illuso di avere con l’agire immorale) ottiene di incontrare la salvezza già in questa vita. È il suo Natale. Lo dice Luca nei vangeli dell’infanzia: “Oggi è nato per voi il Salvatore!”. Zaccheo salta di gioia. Ha il Messia in casa sua!!! L’autoinvito di Gesù è sorprendente. Noi già siamo felici quando una persona importante accetta di sedersi alla nostra mensa, figurarsi il Figlio di Dio non un altro figlio di Abramo come me!
Come parroco sono contento di avere figli, i buoni fedeli “normali” quelli della domenica. Ma come mi entusiasmo quando incontro persone che tutti reputano perduti, irrecuperabili… La più bella definizione di Gesù per me è questa: colui che è venuto a recuperare chi era perduto.
Questa di Zaccheo è una delle scene più belle dell’Evangelo, è una scena natalizia. È un piccolo uomo che viene alla luce, che rinasce. Tutto parte col desiderio di Zaccheo. Invece risolutore è il desiderio di Gesù che viene prima e lo vede sull’albero in mezzo a tanta gente. Quanto è bello in luoghi stani o addirittura in terra straniera essere chiamato per nome! A me è capitato all’aeroporto o all’estero… e ti viene da dire: “Chi è che mi conosce in questo posto?”
Figuratevi essere chiamato da Dio figlio di Abramo nella lontana terra di chi non è più considerato figlio dagli altri… Lo trovo bellissimo.