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Quarantasei

quarantase

Nel Vangelo delle “piccole cose” non poteva andare sfuggito questo riferimento numerico così raro. Usato una volta sola, allude a molte cose a livello simbolico e gematrico… ma qui forse non interessa. Una per tutte, 46 corrisponderebbe al valore numerico delle lettere che compongono il nome di Adamo…forse a dire la fragilità della persona umana…mah! Comunque la frase pronunciata da Gesù, dopo il gesto profetico delle frustate ai mercanti nel tempio, è interpretata subito dall’evangelista stesso col rimando simbolico al corpo di Cristo… anch’esso dunque fragile nella sua dimensione terrena.

Questo significato profondo e allusivo non è, però, compreso dai Giudei che ascoltano Gesù e lo biasimano perché pretende un’autorità che non gli competeva. Anzi, il loro è un vero e proprio fraintendimento che gli studiosi amano classificare con l’espressione “ironia giovannea”.

È l’incomprensione che banalizza molte altre affermazioni Cristo. Questo equivoco si ripresenterà per esempio quando Nicodemo, all’annunzio della nuova nascita da parte di Cristo, reagirà: «Come può nascere un uomo quando è vecchio? Può forse en trare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?» (3,4). Oppure quando, di fronte all’offerta dell’«acqua viva» da parte di Gesù, la Samaritana replicherà: «Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo, da dove dunque prendi quest’acqua viva?» (4,11). E, sempre nella stessa scena, ai discepoli che lo invitano a mangiare, Cristo dichiarerà di avere un altro «cibo che voi non conoscete» e loro ingenuamente si domanderanno: «Qualcuno gli ha forse portato da mangiare?» (4,31-33).

È veramente lunga la lista di incomprensioni: sul «pane vivo» che cancella ogni appetito; sulla «partenza» di Gesù nella sua morte, scambiata per un viaggio tra i Greci; sulla libertà interiore interpretata come un’accusa di schiavitù da parte dei suoi ascoltatori; sul «sonno» di Lazzaro considerato come benefico e non mortale dai discepoli; sulla lavanda dei piedi, con un Pietro che, invece di una purificazione interiore, immagina di dover accettare un pediluvio o una doccia intera per essere con Gesù!!

Ma se ritorniamo al nostro testo troviamo anche qualcosa di sorprendente dal punto di vista storico. La metafora in realtà ci consente di capire molto altro; il tempio è il corpo morto e risorto di Cristo, ricostruito in tre giorni secondo la simbologia dei numeri (il tre è un numero biblico che indica la compiutezza) e secondo il modo semitico di considerare come un’unità anche le frazioni di una giornata. E infine ciò che incuriosisce veramente è l’incomprensione rabbiosa e precisa della gente che ascolta Gesù: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?».

La frase è interessante dal punto di vista storico. L’erezione del tempio di Gerusalemme da parte di Erode iniziò nel 20 -19 a.C. Ci troveremmo, allora, dopo 46 anni, nella Pasqua del 28 d.C. Saremmo, quindi, di fronte a uno dei pochi dati cronologici offerti dai Vangeli, più o meno coincidente con quello che Luca ci indica ponendo l’inizio della predicazione del Battista «nell’anno quindicesimo di Tiberio» imperatore, data che corrisponde proprio all’anno 27-28 d.C.

Alla faccia di coloro che non credono alla dimensione storica, anzi storiografica del Nuovo Testamento…

Don Massimo

Don Massimo

Parroco della Parrocchia di San Gerardo al Corpo

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