Non più servi ma amici. Insistiamo fin da piccoli. Anche uno dei testi della catechesi dei bimbi per tanti decenni aveva questo titolo: «Vi hi chiamato amici». Nella Bibbia è una categoria ben precisa. Abramo viene chiamato l’amico di Dio. E anche Mosè, il grande intercessore. Anzi potremmo dire che la Bibbia rappresenta a più riprese la tipologia dell’amicizia.
Nel primo libro di Samuele per esempio si legge che «l’anima di Gionata s’era talmente legata all’anima di Davide, che Gionata lo amò come se stesso» (1Sam 18,1), e ancora «lo amava come l’anima sua, come se stesso» (1Sam 20,17). Se vogliamo potremmo mettere, quasi in sovrimpressione, quelle parole che sono state pronunciate da Gesù l’ultima sera della sua vita terrena nell’interno di quella sala al piano superiore di una casa di Gerusalemme, nel Cenacolo: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. Voi siete miei amici se farete ciò che vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma io vi ho chiamati amici perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi» (Gv 15,13-15).
Noi siamo strani. Non diamo il giusto peso cristiano all’amicizia. Tante volte perfino la carità è un po’ disumana perché non conosce il sapore della amicizia, il gusto dello stare insieme, del condividere, della fraternità spontanea propria dell’amicizia. Non basta semplicemente fare della carità all’altro, molte volte è infinitamente più importante avere in sé questa specie di brivido che è il brivido dell’amicizia, della spontaneità, dell’immediatezza.
Gesù ci chiama amici. E molto spesso è il valore più alto di tutti.